Riassunto delle puntate precedenti: camminando in testa alla carovana con il suo cammello guida, Ahmed medita e trova il modo di trasformare il piombo dei suoi pensieri in oro.
Il mio Celestìn è fatto così. Io gli ho parlato un po’, e un po’ sono confuso e un po’ mi sembra di capirlo benissimo. Hai sempre la sensazione che ci sia una molla in lui, tutta tesa, e qualsiasi cosa tu dica le rimbalza contro, e porta lui in uno stato di coscienza così attento, così profondo, ma allo stesso tempo così pesante e doloroso. Sembra che faccia fatica a parlarti, a momenti, quasi che vivesse in un mondo suo. O che la cosa che gli dici lo portasse da un’altra parte, più lontana, in un mondo che agli altri è precluso. Privato, suo e inaccessibile al resto di noi. Sembra proprio che non si accorga della propria grandezza, e in un continuo impeto di generosità totalmente ingiustificata ti dia il beneficio del dubbio, ti conceda uno spazio per esprimerti. E questo è bello, perché io, sia per la lingua che proprio per la sua profondità umana, faccio un po’ di fatica a seguire tutto tutto. I dettagli mi sfuggono, alcune delle sue tortuosità mi lasciano senza fiato, eppure quello che mi rimane alla fine è un senso di grande apertura, come se Celestìn fosse riuscito ad aprire un varco in me, a spingermi un po’ più in là . E questa comunanza io la trovo impagabile, un dono venuto dal cielo. E’ facile capirsi con quelli che sono sempre al centro della scena, aperti e socievoli, quelli che sembra sempre che sappiano esattamente cosa dire per farti stare a tuo agio. Però hai sempre un po’ la sensazione che lo facciano con tutti, ‘sto gioco, e allora è facile sentirti svalutato, un altro in mezzo ad una folla indistinta. Con lui è diverso. Tu sei unico e irripetibile, nel momento che sei con lui, lui è tutto per te, è l’amico della tua vita. Lontani sono i suoi viaggi in tutte le terre possibili, i suoi studi, i suoi libri complicatissimi, i suoi colleghi capaci di sostenere chissà che discussioni con lui, di tenergli veramente testa.
Lo vedo camminare sulla sabbia ormai bella calda, la testa un po’ inclinata in avanti, a piedi nudi nei suoi sandali di cuoio enormi, solo. Sempre, irrimediabilmente e assolutamente solo. Sembra che qualsiasi cosa faccia una bolla si apra intorno a lui. Che avvicinarglisi a più di tre metri sia un’impresa che pochi vogliono permettersi. Per questo salta da un gruppo all’altro, guardando sopra la testa degli altri, lui così alto, come se fosse incapace di abbassarsi al loro livello, di ridere di cuore con loro. Sempre distante, con la testa nel suo mondo. E gli altri tengono le debite distanze, forse intimiditi, forse paurosi di stufarsi un po’. Mi sento proprio speciale quando, quasi per caso, i nostri percorsi si avvicinano un po’, lui piega lentamente e si affianca a me, e senza guardarci ci mettiamo a camminare appaiati in testa alla carovana, al ritmo vivace e costante del mio cammello guida, lui che fa due passi per i miei tre. E lui, senza pensare, inizia a raccontarmi la storia della sua vita, i suoi studi, i suoi mi sembra molti amori un po’ sconclusionati, nei quali si butta come per risolvere tutti i problemi della sua vita e che rapidamente lo respingono di nuovo dov’era prima, nella sua torre d’avorio impenetrabile. Mi sembra che capisca tutto quello che dico, anzi lo capisce ancora prima che io sia arrivato a metà della frase, e certe volte mi taglia corto, il che mi dà francamente un po’ sui nervi, ma poi non mi dispiace poi così tanto anche perché così mi risparmio un sacco di spiegazioni inutili. Ci sono delle comunioni fra uomini che non si possono spiegare e che ti aiutano a capire meglio chi sei. Forse perché con gli altri o le cose vanno o non vanno, una ti mette in mano la sua vita dopo un’ora che la conosci, si dona anima e corpo senza riserve. Oppure puoi passare anni a lisciare un rapporto che non partirà mai.
Celestìn è entrato nella mia vita in un attimo. E’ entrato nel mio deserto, compartecipe del mio autunno. Compagno, nella sua solitudine, della mia. Così consapevole delle cose, così vicino a quello che gli fa bene e gli fa male. Così incostante nell’essere lì con me, nell’attimo, e via di nuovo nel suo mondo privato. Così pieno di cura e considerazione, così vicino alla propria tristezza da poterci quasi ridere sopra. Ogni tanto quando ci fermiamo si piega sulle sue lunghe gambe magre e affonda una mano nella sabbia, come per volerla vagliare. Ne solleva una piccola manciata, guardandola intensamente, e lentamente, lentamente, la lascia ricadere affidandola alla brezza leggera che se la trascina via con dolcezza. Dove sarà in quei momenti? Qual è la sua grazia, dov’è il suo dio? Che ne sarà di lui dopo il deserto? Ci ritroveremo di nuovo da qualche altra parte, lassù nel vento, sopra una duna al calare del sole?
(10 – continua)