2 – La festa
Riassunto delle puntate precedenti:
il cammelliere Ahmed al calar della sera osserva il gruppo di viaggiatori appena arrivati che sul tappeto rosso si preparano per la notte.
La sera è tranquilla, dopo il calar del sole la temperatura si è fatta fresca e frizzante, è sempre così in questa stagione. Mi sono coricato alla solita ora, forse un po’ più tardi perché è pur sempre la prima sera della spedizione, si è un po’ più nervosi e meno coordinati e sembra che la cura degli altri ti costi un pochino di più. Ma non avevo tanto sonno, tanti pensieri, e allora mi sono girato su un fianco con la testa appoggiata sul braccio e la coperta ben avvolta dietro. E come in un abbaglio improvviso ho visto tutta la festa che si spiegava intorno a me: il cielo stellato che si incurvava in un lievissimo chiarore fino a baciare la curva sinuosa delle dune e delle montagne un po’ più in là, gli ovetti delle tende gialle e verdi posate come piccole lanterne sulla sabbia, le braci appena visibili del fuoco che si ravvivavano alla brezza, il tappeto rosso ora vuoto, la silhouette scura e un po’ spaventosa della tenda della cucina. E girando la testa all’indietro appena un po’ ho visto i miei amici che pascolavano tranquilli, sparpagliati qua e là con la loro gamba legata. Sai che sono tranquilli solo perché tu sei stato là tutta la sera a curarli, a sussurrargli parole lievi, a fissarli con devozione. Se no, ti immagini dove sarebbero adesso! A miglia di distanza, a cercare chi sa cosa, forse una compagna, l’incavo protetto della prossima oasi, un pezzo di cielo dove le stelle brillano ancora di più, un vecchio amico perduto, un fantasma che non raggiungeranno mai! Sono identici a noi, basta guardare le palpebre abbassate dei loro occhi dolci e sornioni mentre camminano determinati sotto i loro carichi. Ma appena hanno finito il lavoro, chi li tiene più? Identici, siamo.
E improvvisamente incurante della danza intorno a me, della meraviglia del deserto e delle piccole creature che in lui si preparavano per la notte, sono scattato in piedi buttando giù con rabbia la coperta. Volevo urlare, ma non era una cosa che si poteva urlare, era come un elastico nelle membra, qualcosa che mi tarantolava da dentro e che non voleva uscire. Mi misi a camminare meccanicamente nella direzione del nulla, lontano da tutti. Ero solo e volevo essere solo, abbracciato soltanto dalla solitudine della sabbia e del cielo. Sentii le guance che si rattrappivano e non volevano più distendersi, un crampo che dallo stomaco mi arrivava al dietro della testa, il petto che si chiudeva. Mi fermai in cima a una duna lieve, mi inginocchiai a terra e sì, per la prima volta in un tempo lunghissimo, piansi. Come in un mulinello rutilante, rividi loro che uno a uno mi prendevano di mano il sacco della tenda sorridendomi con dolcezza, che con mosse leggere la spiegavano sulla sabbia, li vidi mentre in ginocchio srotolavano i loro sacchi a pelo, mentre osservavano la loro opera con sorriso di bambini. Li rividi mentre parlavano calmi e concentrati, seduti sul tappeto rosso. Vidi gli sguardi intensi, i brevi sorrisi, le fronti aggrottate. Sentii le loro frasi ora spezzettate e incerte, ora prolungate e quasi cantilenanti. Distinsi quelli che in qualche modo avevano sempre qualcosa da dire, ritti sull’orlo del loro cuscino colorato e quelli che ascoltavano solo, quasi sprofondati all’indietro, un po’ corrucciati. E vidi me, vecchio cammelliere indurito, improvvisamente perso davanti al miracolo dell’amore, smarrito fra l’attrazione e l’incomprensione verso quello che non avremo e non saremo mai, dell’altro, dell’opposto dell’impossibile. E vidi anche il suo fluire e, dolore dei dolori, il suo regredire e scomparire progressivo nel tempo, l’oblio.
Sono tornato sulla mia stuoia. Tutti i fuochi sono spenti. I viaggiatori si sono addormentati. Sotto la coperta leggera, penso a loro, miei unici amici, che bisogna lavorare per farli stare un po’ fermi. Insomma, legarli. Per amore, ma legarli. E guardando la festa del cielo sopra di me capisco anche perché: come si fa a restare fermi davanti a tanta bellezza?
Alvise – 9 maggio 2013
(2 – continua)
Il cielo stellato (un’infinità di luci, luci, luci, luci) è una cosa che tutti noi (i vedenti almeno) possiamo vedere, ovunque ci troviamo sulla nostra terra, ma non sempre lo vediamo (oppure lo vediamo così, senza veramente vedere e apprezzare)… perché?
Un mulinello di immagini, di sensazioni, di emozioni. Uno spazio infinito interrotto solo dalle luci delle stelle e dell’accampamento. Sempre luci, sono.
Grazie.
Ahmed si è nuovamente rivelato, il tempo non lineare intercorso dal primo incontro in quella serata magica ha trasformato gli eventi in eternità . Una compagna di viaggio. Ileana