Riassunto delle puntate precedenti: il nostro cammelliere Ahmed, dopo una notte travagliata, assiste al sorgere del sole e medita sul proprio risveglio, quasi un’alba di rinascita.
E’ strano, però. Seduto qui in cerchio con il gruppo sento qualcosa di nuovo. Di solito io mi muovo, faccio, passo da una cosa all’altra. E’ un lavoro intenso quello del cammelliere, sei sempre sotto giorno e notte, con attenzione continua, c’è sforzo e anche pensiero. Eppure è sempre un agire, i pensieri si sovrappongono al movimento, è come un dimenarsi un po’ incontrollato. Quando poi mi fermo, la sera, nelle lunghe notti, la mia mente è inquieta, vaga qua e là , non sta mai ferma. Qui fermi immobili a occhi chiusi mi sembra di trovare qualcosa di diverso, una qualità più sottile. Devo un po’ domarmi, è vero, perché le gambe vorrebbero muoversi, la testa vagare, ma se mi lascio un po’ andare e accetto che sono qui fermo, sento come qualcosa che si fa più lento. La mola dell’arrotino che viene al paese il sabato ad un certo punto dopo aver sprizzato le sue scintille veloci inizia a rallentare gradualmente, il suo girare forsennato si calma, pian piano per la grande inerzia della pietra pesante. Ad un certo punto quella che era una superficie liscia e indistinta comincia a mostrare le sue fattezze, la sua tessitura fine, puoi distinguere i granelli di quarzo durissimo sulla superficie, le rigature, gli incavi e le distorsioni, le impurità incastonate, una profonda e sottilissima crepa che prima non c’era. Prima di fermarsi poi rivela il suo moto un po’ondeggiante perché il perno non era poi così diritto e perfetto come sembrava. Il rumore stridente e indistinto si scinde in tanti piccoli cigolii, grattatine e croc croc, più distinguibili ad ogni giro, sempre più gravi e lenti, fino che dopo un ultimo piccolo sussulto con gradualità infinita si impenna e si ferma.
Un breve momento di smarrimento – oddio dove sono, sarò perso, c’è ancora il terreno sotto i piedi? – lascia il posto a qualcosa che non viene più dalla testa ma come da dentro, dalla pancia, più profondo e più pulito. E’ come un sentire interiore che mi porta alla luce cose che prima erano dentro bloccate. Come avevo fatto a non capirlo? Io che cercavo una guida ce l’avevo proprio qui davanti e non me ne aro accorto. Ce ne sono tante, di guide, perché mi sembra che i compagni seduti in cerchio davanti a me abbiano ciascuno la sua storia da mostrare, qualche cosa di prezioso e intimo da comunicarmi, però umilmente, senza farmi una testa così con le parole. Quasi che potessero parlare senza parlare, che si unissero a me con dei fili sottili e invisibili, come se un miele dolce e delicatissimo mi portasse il loro tepore e la loro protezione. Sono irretito in una tela che mi dà vicinanza senza costrizione, che prima non c’era mai stata, che non ero stato capace di vedere.
Come un sassolino lanciato da un diavoletto lì sopra mi avesse colpito la testa dandomi una piccola a scossa, mi viene un dubbio atroce: e se la mia piccolezza, la mia debolezza, il mio non essere nessuno che fino adesso tanto mi hanno tormentato e crucciato fossero qualcosa di mio proprio mio, quasi delle gemme incastonate nella greve ruota della mia mola, brillanti e coloratissime, di forma unica e preziosa? Se io veramente fossi qualcosa proprio in grazia al non essere niente? Un regalo quasi divino, un tenermi unito a me stesso? Qualcosa da coltivare e fare crescere, proprio partendo da quello che c’è piuttosto che cercare di ottenere quello che manca? Sento le gambe un po’ rigide, la pancia grossa, la mia faccia scura e ormai grinzosa, il peso dei miei anni. Ma questo è solo fuori. Dentro c’è qualcosa di fino fino, liscio come la pelle di una bambina, sottile e lucido, fresco e senza tempo, e è lì da sempre. E’ inesprimibile, così incastonato, ma mi sembra in grado di rendermi trasparente, di regolare le mie azioni sotto la sua bacchetta magica in modo da lasciarsi irradiare senza sforzo ma anche senza ritegno.
Riapriamo gli occhi seri e assorti, in un cerchio perfetto. Il tappeto rosso che ci unisce contrasta con la sabbia ancora un po’ scura di umidità della notte. Il sole ancora basso ci regala un tepore tenue, autunnale. L’aria è chiara e tersa.
(6 – continua)