Riassunto delle puntate precedenti: Il nostro cammelliere Ahmed impara dai semini a crescere nella direzione giusta, abbandona i suoi mille pensieri e all’irrompere dell’alba si mette alacremente al lavoro.
Eccolo. Come un miracolo che sempre si ripete, come una meraviglia sempre uguale e sempre nuova, squarciando la bolla bianco latte con la quale il cielo l’aveva attirato nel suo seno, l’aveva risucchiato ancora una volta fra di noi, prima piccolo spicchio stracarico e ombroso poi rosso poi arancio, ha dato un ultimo impercettibile colpo di reni, si è sollevato si è mostrato è esploso in una sinfonia di colore e di tepore, ha inondato la terra le piante le colline e noi, senza ritegno con la sua luce aranciata abbacinante, un sugo appena tiepido che ci avvolgeva e ci disorientava, ci sospingeva e ci portava via, lì immobili e muti a osservare la sua potenza, a assorbire i suoi raggi penetranti e misteriosi, attoniti davanti al suo spettacolo di autocelebrazione, di vanità incontrollata, di adescamento sapiente dei suoi piccoli adoratori.
Ne ho viste tante io che sto sempre all’aperto, ma oggi è diverso. E’ come se il tempo si fosse fermato. Come se il fuori e il dentro si fossero fusi in un tutto indistinguibile causando uno sperdimento, un esserci e non esserci un essere presenti ma non sentire nulla un essere parte di quella luce e di quell’energia. Di sentirsi nello stesso tempo uomo e cammello, e fiore e cespuglio, e montagna e collina, e sabbia e duna, e uomo chiaro e uomo scuro, maschio e femmina, terra e sasso, e insetto e scorpione e serpente, aria e vento, colore e ombra, luce e spirito.
Mi siedo a gambe incrociate in alto su un piatto sasso rugoso, la fronte rivolta al sole, e assorbo il tepore crescente che lui emana. Tutto il mio passato, quello che sono sempre stato, bambino e ragazzo, uomo adulto e uomo senescente, e quello che mai sarò, si raggrumano in questo momento in questo punto da qualche parte dentro di me, nella mia pancia. Tutto ciò che ho mai provato e che forse proverò, la spensieratezza abbandonata, la gioia infinita, il dolore più forte, la noia e l’umiliazione si fondono tutte in qualcosa di unico, che mi avvolge ma non mi schiaccia, quasi loro fossero sia dentro che fuori di me, potenti ma neutre, assertive ma benigne. Un vuoto mi si apre dentro, come se liberato dagli influssi esterni e dai miei pensieri non esistessi più.
Riapro gli occhi. E giù sotto, seduti sul tappeto rosso, li scorgo, in cerchio e a gambe incrociate. Immobili e silenziosi, si preparano anche loro ai loro riti, alla loro pratica, avvolti nella calda luce aranciata.
E’ rimasto uno spazio libero nel cerchio, proprio nella direzione dove sorge il sole. Lo riempio e mi unisco a loro, servitore accolto da maestro. Li sento, presenze lievi e accoglienti, corpi non corpi, concreti e quasi immateriali. Non ci sono parole né lingue. Sono molto lontani ma anche terribilmente vicini. Ospiti e compagni di viaggio. Fratelli di luce.
(5 – continua)
Voci chiare come freccie illuminano il Centro.