Riassunto delle puntate precedenti: Il cammelliere Ahmed, dopo una notte travagliata, vive un’alba di risveglio e medita su come vorrebbe ritornare a scuola per uscire da se stesso e trovare la sua direzione.
E’ il coraggio, che mi è sempre mancato. La mattina presto uno se ne accorge. Si avrebbe una gran voglia di stare lì a poltrire, immobili sotto la coperta, a sognare da svegli. Come rannicchiati nella propria tana, belli protetti. Magari a guardarsi intorno, a osservare il deserto, l’aria ancora grigia del mattino autunnale, le colline così vicine, la sabbia pulita pulita che si prepara umile alla sua vana lotta col sole bollente. I radi cespugli che con caparbietà spuntano uno non sa da dove. Chi li avrà portati i semini? Dove avranno trovato l’acqua per germogliare, piantarsi fra i sassi, tirare fuori i loro ramoscelli così verdi? Da dove hanno portato il loro verde in mezzo a tutto questo beigiolino, a questo ocra? Loro sì ne hanno avuto di coraggio. Non sono stati lì a domandarsi adesso cosa faccio, oddio che scomodità questo deserto, magari aspetto ancora un po’, me ne sto qui bello fermo sotto la sabbia, almeno non faccio fatica a sgomitare verso l’alto per trovare l’aria e cielo blu, almeno il sole non mi brucerà appena spunto, il vento non cercherà di piegare a suo piacimento i mieli filini d’erba in tutte le direzioni, quasi per scherno, un po’ di qu e un po’ di là , fino a fargli disegnare dei cerchietti tondi sulla sabbia. No, non hanno neanche pensato, hanno solo fatto i semini, l’unica cosa che sapevano fare. E con abnegazione, ma no, neanche, con naturalezza, si sono lasciati portare dalla loro indole, fra delle difficoltà apparentemente insormontabili. Loro così secchi hanno trovato la via di un filoncino di umidità , non si parla neanche di acqua, ma se la sono fatta bastare per gonfiarsi fino a lasciarsi scoppiare, morire e farsi rinascere in un altro pezzo di vita, fino e lungo, loro così grassocci. Per incastonare una radice nel terreno, ma ti immagini la fatica immane, è tutto durissimo lì sotto, silicio tagliente che vuole smerigliarti e triturarti a pezzetti. Dove è il sopra e dove è il sotto nessuno ha mai neanche cominciato a chiederselo. Hai un bel dire che c’è la gravità , il campo magnetico, la luce da una parte e il buio dall’altra, ma a me sembra che loro ci abbiano semplicemente provato, io vado di qua, tu vai di là , e poi in una sequenza infaticabile di piccoli adattamenti hanno trovato la loro strada.
Non sono mica come me che passo la vita a domandarmi adesso mi alzo o non mi alzo, saluto i miei ospiti che hanno cominciato a zampettare a destra e a sinistra o me ne sto qui sulla mia stuoia a guardarli da sotto facendo finta di niente, rannicchiato in me stesso, davanti ad una serie infinita di bivi, meglio a destra o a sinistra, cosa mi porterà , varrà la pena, starò perdendo tempo? E’ eccezionale che io me ne stia accorgendo in questa mia piccola alba, sono come uscito da una notte impenetrabile e aspetto il sorgere del sole, come se dovesse infondermi la sua energia e tirarmi fuori da mio stupido guscio. Sì lo so che non è stupido, anche lui è servito a qualcosa, ma prima ci stavo dentro bene e adesso mi fa impazzire dalla claustrofobia, basta solo che lo rompa e lo lasci, è un vuoto simbolo ormai morto del mio passato, della mia notte. Della mia inettitudine immobile, del mio sonno ad occhi aperti, dalla mia paura. Della mia incapacità di vedere fuori e vedere me come veramente sono, del mio scappare e rifugiarmi in mille scuse, oh che vecchio, come sono timido e solo, oh perché non ho mai imparato le lingue, oh che povero, che imbranato, che faccia scura, come sono tappo, come sono stupido e lento! Sì sono tutto ciò e forse anche peggio, una di quelle palline marroni e lucide di sterco che fanno anche un po’ ridere quando un animaletto viene e se le spinge via.
Ma adesso alziamoci. Ci sono tante cose da fare. Devo dare un’occhiata a come stanno loro anche se la mattina se la cavano abbastanza da soli. Però devo aiutarli a uscire dalla loro, di pigrizia, se no rimangono tutta la mattina accucciati a ruminare e a non fare un bel niente. Devo lavarmi un po’ con la sabbia, mangiare un boccone anche se non ho fame perché poi se no a camminare ti viene una debolezza tremenda. E poi caricare, stando attento che siano ben bilanciati perché facciano meno fatica. Il vecchio ha un livido sulla gobba, ormai è un po’ spelacchiato e bisognerà stendere bene la coperta per proteggerlo dal metallo del basto. Resisterà quest’autunno, ma io sto male a vederlo soffrire mentre lavora.
Mentre trappolavo, occhi di gazzella, strisciando carponi fuori dalla tenda mi ha guardato, ha buttato indietro i capelli fulvi e sì è aperta in un sorriso incredibile. Mamma mia. Il cielo ha formato un gran cerchio bianco sopra l’orizzonte, quasi a fare posto al sole che, ancora rannicchiato dietro le colline, sta per sorgere.
(4 – continua)
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Per fortuna ci pensa la Vita a spingerci fuori: chi dalla tana, chi dalla sabbia e chi da chissà dove.
Chi muove i nostri semini interni? E’ la stessa forza che fa incontrare il tuo pensiero con il mio? Che a nostra insaputa unisce gli animi e tesse quel filo che noi chiamiamo Vita? Forse il deserto è il luogo della risposta. Buon lavoro!
Se Ahmed è innamorato della Vita, io mi sto innamorando di Ahmed, e del suo coraggio nel vedere il suo non-coraggio.
Il “mio” Ahmed partecipa a questo viaggio, se ne sente parte, sente i primi raggi di sole sulla pelle e su quel filino sottile che fu un seme… e getta via la coperta!
Grazie Ahmed.