Facciamo yoga da anni, con entusiasmo, curiosità . Poi ad un tratto, durante una seduta, sentiamo una strana sensazione, quasi un disagio: ci sembra di non riuscire ad andare in profondità , che ciò che stiamo facendo sia un po’ meccanico, ripetitivo, ed abbia perso di significato. Una vocina ci dice che in fondo no, stiamo lavorando bene, abbiamo anche iniziato un lavoro di approfondimento delle posizioni, intensificato la pratica. Ma la sensazione di disagio rimane e pervade ogni cellula del nostro corpo. E’ un messaggio che viene da dentro. A ben vedere non è la prima volta che ci succede, anzi si direbbe che abbia una sua ciclicità anche se non una periodicità . Ed allora non possiamo fare altro che ascoltarlo, continuando a praticare, con fiducia, fino a tanto che quel nodo non si scioglierà permettendoci di fare un altro passo sul nostro sentiero, su quella strada che è la nostra vita e la nostra evoluzione, il nostro mito interiore. E’ una strada che esiste ma non è visibile e lo diviene passo dopo passo. Serve un passo ben assestato, come quando si va in montagna. Una persona abituata ad andare in montagna la si riconosce dal passo: costante, deciso, quasi un po’ pesante nell’assestamento del piede. Ecco, anche il nostro deve essere così. E se il nostro passo è lo yoga allora la nostra pratica deve essere continua, costante e senza interruzione (yogasutra;I,14).
Allora il nostro mito gradualmente si disvela.
30
Apr